Oggi ho potuto assistere ad una prova generale di uno spettacolo del grande violoncellista Yo-Yo Ma e il suo “silk road project“. La compagnia si chiama così perchè, oltre a cinque archi, comprende diversi strumenti tradizionali asiatici – da una specie di liuto tradizionale cinese a un duduk armeno, a un sarangi indiano. Come dire: tutta la via della seta.
Si trattava di un’opera, con arie, recitativi e tutto, scritta da un compositore azerbaigiano, che racconta una storia simile a Romeo e Giulietta – solo che è una leggenda asiatica che circola da 1000 anni prima di Shakespeare. Non c’è recitazione – due cantanti, un uomo e una donna, inginocchiati, cantano a turno – immagino in azero – mentre su dei drappeggi vengono proiettati i sovratitoli del testo. Ma non è la solita storia d’amore… qui le passioni umane sono trasfigurate e le sontuosità del testo si abbinano in modo strano ma molto efficace alla sobrietà della musica, per creare una cosa che non so proprio come descrivere.
E la musica è un giocare finissimo e sapiente con la tensione suscitata dall’attrito tra suoni diversi. Sono lontanissimi gli schemi a noi familiari, compreso il sistema temperato. Il materiale è di carattere popolare e attinge alle più svariate tradizioni: i cantanti, secondo una tradizione araba, dipanano melodie arzigogolate in un raffinato gioco armonico di dissonanze sapientemente dosate – e le parti strumentali passano dalle atmosfere rarefatte dell’estremo oriente a piccole cadenze che sembrano presagire una czarda zigana, da territori “occidentalmente” tonali a ritmi arabeggianti nella cui iregolarità si cela un’energia mai sfacciata…
E tutto questo, in qualche modo, non era un’accozzaglia di brandelli musicali alla rinfusa. Piuttosto, un aquarello di colori che si penetrano creando una grande tessitura di umanità. Finita l’opera – ovvero quando anche il monocordo cinese compie, glissando, l’ultimo quarto di tono per raggiungere tutti gli altri in quello che è forse l’unico, puro unissono di tutta la musica – ecco, lì è stato come arrivare alla fine di un unico, lungo, profondo respiro che ti riempie i polmoni di… non so cosa – ma è stato bello.