La violenza sistematica e intestina dell’uomo inventa nuovi Eldorado: la nuova stagione del “made in Italy” ripropone il “Porajmos”.
Auguri.
È da un po’ di tempo che cerco un modo adatto per riprendere a scrivere con una certa regolarità, e proprio ieri ho trovato un appiglio insperato.
Uno dei motivi perchè da così tanto tempo non scrivo su questo blog è che mi sono trasferito (ancora…). Ricorderete che l’ultimo post l’avevo scritto da un caffè di Berkeley (California) – ecco: da gennaio mi sono trasferito all’università di Binghamton (New York), da dove scrivo ora.
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L’appiglio di cui dicevo è che ieri ho ripreso in mano un articolo che, in collaborazione con Simona Settepanella, abbiamo finito di scrivere nello scorso mese di novembre. Ora, se ci date anche solo un’occhiata veloce (è qui) vedrete che non è nulla che, di per se’, possa suscitare particolari suggestioni; però voglio dirvi brevemente perchè a me, nel riprenderlo in mano, è venuta una certa nostalgia… per farlo devo raccontarvi quello che le formule dell’articolo non dicono.
Questa mattina verso le 9.00 del mattino ero nello splendido castagneto di Curzùtt. Un luogo dove il bosco vive e respira e se ti ci immergi hai la possibilità di vederne la vita (clicca qui per gustarti il bosco visto dal satellite).
Sempre oggi, alle 14.30 manu ed io eravamo gli unici due adulti in sala a vedere l’ultimo film di Luc Jacquet «Le Renard et l’enfant» (la volpe e la bambina). I protagonisti della pellicola sono una bambina e una volpe (ma va?). Non una volpe furba che parla alla Walt Disney, non una volpe addomesticata che fa le piroette come un cagnolino, nemmeno una volpe attrice che di sopravvivenza nel bosco ne sa meno di un barboncino. Una volpe. Punto.
Mister T (www.pipczynski.ch), che ci ha detto che possiamo chiamarlo Pip, e noi così l’abbiamo chiamato, abita in un paesino dell’Oberland bernese, taca sü na brüga, i fiori e i sacchi di patate selfbedinung. C’ha lo studio al piano terra in una villeta super mega, con dentro due o tre pianoforti, un hammond e una vecchia tastiera, la fisarmonica, tutto pulitissimo e spolverato ma “appoggia tutto dove vuoi” – serviti con Apflesaft e due theremin: una, quella classica – la scatola nera con l’antenna e la barra del volume.
C’era il confine. Uzunköprü si chiama l’ultimo avamposto turco. L’altro, in Grecia, non sono riuscito a decifrarlo. Di notte. Il fiato del capostazione che sapeva di taverna. Poi solo neve, come una tormenta lungo i fianchi del treno.
Ho appena finito di leggere il giornale di oggi, 6 febbraio 2008. Mi sono sparato tutti i commenti e le opinioni riguardo alla vicenda di Locarno (a futura memoria: la brutale morte di un giovane di 22 anni preso a calci da 3 suoi coetanei durante il carnevale venerdì notte).
Se dovessi fare un film su questa vicenda vorrei metterci dentro forse non so magari sì i pensieri che mi assalgono or ora:
Ieri verso le 16.00 sono approdato alla stazione di Zurigo. Di domenica pomeriggio, in questo periodo, l’Haupt Bahnhof di Zürich è affollata di omini con sci in spalla, scarponi ai piedi e giacche hi-tech che solo gli zurighesi possono permettersi. Eh sì, perché qui dalla città a sciare ci si va in treno.
Comunque, volevo scendere nella “città sotto alla stazione” a prendere il pane per la cena mix. colazione quando, all’imbocco delle scale mobili per scendere nel sottosuolo, mi ritrovo una bicicletta a metà strada fra il superaccessoriato e il cancello. Una mappa dell’Europa sul manubrio, 4 zaini neri attaccati ai lati, un piccolo rimorchio con quella sembra essere una tenda e uno specchietto retrovisore. A raddrizzare i raggi di quel mezzo un ragazzo nero con i dred corti corti. Sulla bici una bandierina nera gialla e verde con la scritta “www.incredible-ethiopia.com“.
Nella valle di Elah Golia sfidò Davide. Non aveva paura. Sapeva che solo vincendo la sua paura l’avrebbe sconfitto. E così fu. Nella valle di Elah Paul Haggis sfidò i film predigeriti, i film “ti dico quello che sai già così stai tranquillo”, i dialoghi filosofia dei poveri che funziona sempre “il mondo bianco e nero e non tutti i neri sono omaccioni cattivi lo sai!?”, i film ammerigani che solo se c’hai la volpe del ventesimo secolo arrivi nelle sale di tutto il mondo!
Paul Haggis non voleva sconfiggere nessuno, solo farsi sentire da qualcuno. E oggi al Lumière me lo son visto Nella Valle di Elah.
Sono tornato a Bologna, ci ho vissuto quattro anni ed era un anno che non ci passavo. Ivan, il mitico libraio della Libreria Cinema Teatro Musica di Via Mentana mi ha subito chiesto “come hai trovato la città?”. Mi sarei potuto fermare alla prima impressione, ovvero a quella delusione provata durante la mia passeggiata per Piazza Maggiore, un luogo dove seduto sulle gradinate della Basilica di San Petronio passavo ore a leggere e che ora è transennata, circondata da barriere di ferro che precludono l’avvicinarsi alla chiesa e quindi lo star seduti in piazza a vedere il mondo che passa. È “anti-terrorismo” dicono i carabinieri all’entrata (blindata) del San Petronio.
Carissimi, eccomi dopo tanto tempo! Oggi non risponderò ad una domanda del Nico, ma vi racconterò una cosa che semplicemente non potevo trattenermi dallo scrivere, dato il posto dove sono seduto proprio adesso, e dato il titolo del nostro blog…
Per mantenere un po’ la suspence comincerò con il dire che il periodo relativamente lungo di silenzio è stato anche dovuto al mio trasferimento oltreoceano: per un po’ sarò a Berkeley, California. E il fatto è che qui, al bordo del campus universitario, c’è il “Caffè Strada” con la sua terrazza circondata dalla siepe e ombreggiata dagli alberi. E sulla terrazza tanti tavolini – ed è su uno di questi che è appoggiato il mio PC mentre scrivo.
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