Alcune novità paranoiche per l’autunno

Carissimi amici,
ecco a voi alcune novità paranoiche per un autunno molto movimentato…

=== SHOUT: RAIL ZONE AT NINE ===
Oggi, giovedì 17 ottobre allo Spazio 1929 inaugureremo la nostra prima mostra. Vernissage a partire dalle 17.30, l’artista illustratore SHOUT sarà con noi per questa prima serata “spaziale”. Tutti i dettagli su Alessandro Gottardo e le sue opere nell’invito in allegato. Bar aperto (in onore di Alessandro Gottardo, la birra omonima…), non mancate! –> maggiori informazioni qui.

 

=== TUTTI GIÙ  ===
Nei prossimi giorni mi recherò in Cina per accompagnare TUTTI GIÙ in un viaggio dedicato alla lingua italiana. Il film è stato infatti selezionato all’interno dei programmi della Settimana della lingua italiana nel mondo e nei prossimi giorni verrà proiettato in numerose località ai quattro angoli del globo. Tutti i dettagli in questo comunicato.
E per chi fosse interessato, il 25 ottobre uscirà anche il DVD di TUTTI GIÙ, con alcuni bonus, l’audio originale italiano e doppiato in tedesco, sottotitoli in varie lingue (anche il mandarino e il lituano… per i tanti di voi che si cimentano con queste lingue), video musicali e altro. Costo del DVD 25.00 franchi. Per chi fosse interessato potete scriverci un email a info@paranoiko.com.

 

=== l’AM, l’Arte della Memoria ===
Infine, vi inoltro l’invito a un interessante progetto per il 26-27 ottobre prossimo. Frutto di una prima simpatica e ispirata joint-venture fra alcune realtà giovani della regione (Ticinooff, Ego Gallery, Sonnenstube e Spazio 1929) “l’AM, l’Arte della Memoria” coinvolge curatori, artisti e performer di bella ispirazione dalla Svizzera italiana e internazionali. Amici da rivedere sotto nuove spoglie e nuovi emergenti artisti da scoprire. Purtroppo, come detto, sarò all’estero in quel periodo, ma voi, se avete un paio d’ore e siete in Ticino, fateci un salto. È un evento unico nel suo genere.

 

=== THE LONESOME SOUTHERN COMFORT COMPANY ===
Al seguente indirizzo una nuova produzione video-musicale chez Paranoiko, con On The Camper records per la band The Lonesome Southern Comfort Company. Il video è in esclusiva su Clash per qualche giorno, poi lo troverete anche su paranoiko.com… –> http://www.clashmusic.com/videos/the-lonesome-southern-comfort-company-the-big-hunt

Per quanto mi riguarda sarò assente fino a fine novembre, spero di incontrarvi in periodo di avvento, anche perché vi son già alcune sorprese pre-natalizie in cantiere…. presto infatti pubblicheremo nuovi video su www.paranoiko.com così come altri eventi @ Spazio 1929…

Un grande grazie a tutti e auguri per un ottimo autunno! Ovunque voi siate,
a presto,
Niccolò

un anno fa

Un anno fa, a quest’ora (sono da poco passate le 9 del mattino), tanti amici e curiosi erano già incolonnati fuori dal La Sala per la prima assoluta di Tutti Giù al Festival del Film di Locarno. Non avevo pensieri ben precisi, il mio neurone era una pallina da ping pong. Ping. Pong. Ping…

Ricordo bene il vociferare sempre più forte, indistinto, provenire dal pubblico e il rombare profondo degli spalti. Un’attesa “rumorosa”, divertente e spontanea che proveniva dalla sala mentre con parte della troupe e del cast, a pochi minuti dall’inizio, aspettavo fuori. E poi un’accoglienza totalmente al di sopra di ogni mia possibilità di controllo. Chi c’era se ne sarà accolto: mi avete spiazzato. Accipicchia, e io che pensavo di essere pronto!

La luce del proiettore si è accesa e per un anno non si è mai spenta, a zonzo per il mondo abbiamo mostrato Tutti Giù a tanti appassionati di cinema che hanno regalato un po’ del loro tempo alla nostra pellicola. Grazie, a chi c’era alla prima, a chi ha fatto in modo che una prima ci potesse essere e a chi continua a rendere possibile il suo viaggio. Sono ricordi che mi accompagneranno in tutte le mie prossime avventure.

07.08.2012 - Waiting for the premiere of Tutti Giù
07.08.2012 – Waiting for the premiere of Tutti Giù

A Kabul tutto bene, e si va avanti

Ti alzi dopo una delle notti più silenziose di tutte quelle vissute qui a Kabul. E qui le notti solo sempre molto silenziose visto il parziale coprifuoco. Solo qualche elicottero e il passaggio di una o due jeep. Ancora prima di arrivare alla cucina per la colazione un sms ricorda a te e a tutti i collaboratori del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) che oggi si dovrà rimanere a casa. Il pensiero e le chiacchiere fra di noi, davanti a una splendida insalata di frutta, è in costante ping pong, sballottato fra il volersi ripetere quanto è bello questo posto, quanto concreto ciò che il CICR fa, e l’attacco di ieri a un luogo identico a quello dove ci troviamo ora, a quella guardia, vittima dell’attacco di ieri a Jalalabad e agli altri collaboratori che hanno vissuto un paio d’ore molto dure. E che ora sono accompagnate.

Ogni giorno entri ed esci da cancelli, porte, barriere sorvegliate da guardie di ogni armamento e nazionalità. Non tutti sanno che quelle del CICR sono diverse dalle altre: a tenere aperte le porte della Croce Rossa sono persone del luogo, non armate. Nessun mercenario. Nessun esercito. Niente fucili spianati.

29.05.2013 ICRC Orthopaedic Centre in Kabul
29.05.2013 ICRC Orthopaedic Centre in Kabul

Nessuna arma può entrare negli spazi del Comitato Internazionale della Croce Rossa. Nelle case, negli uffici, nei centri ortopedici, ogni volta che si entra in un luogo targato ICRC Geneve ci si sente più liberi, rilassati e al sicuro. Nessuna divisa. Neppure le auto con le quali vai e vieni per le vie della città sono paragonabili agli enormi SUV che tutte le organizzazioni internazionali di pari grandezza qui hanno. Nessun vetro blindato, niente guardie armate a farti da scorta, solo una grande croce rossa su ogni lato del veicolo e vari adesivi che ricordano la neutralità che quel simbolo rappresenta. E ti senti bene, vedi altri stranieri girare nei veicoli blindati vestiti di giubbotti antiproiettile; parli con loro e vieni a sapere che non sono mai usciti dal loro compound, che non hanno idea di come sia fatto l’Afganistan e nemmeno Kabul “per motivi di sicurezza” e tu, sebbene hai la libertà di movimento limitata e sottostai a precise regole di sicurezza molto ferree, pensate per evitare di trovarsi nel luogo sbagliato al momento sbagliato, ti ritieni fortunato.

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Advice to the young by Patti Smith

Patti Smith ha scritto libri, poesi e musica. E non c’è qualche cosa di suo che – nel mio caso – non mi sia arrivato diritto, senza fronzoli, nel profondo. Ogni volta mi obbliga a usare la boccia e la pancia Patti Smith. Qui un “advice to the young” che mi piace riascoltare oggi, mentre faccio colazione e fuori pioviggina.

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Un giorno in ospedale

Che cos’è un ospedale? Professionisti del settore esclusi, l’ospedale è il pronto soccorso dove la mamma ci ha portato da bambini a fare i punti dopo esser caduti in bicicletta, o l’ospedale è dove han tolto le tonsille a mio fratello, l’ospedale è dove lui dopo l’operazione ha mangiato tantissimo gelato, l’ospedale e dove son stato a trovare il nonno per l’ultima volta. L’ospedale è di medici e infermieri e è dove c’è quell’odore un po’ strano. L’ospedale è dove arrivano le ambulanze a tutte le ore del giorno e della notte. L’ospedale fa paura, è una cosa che non osiamo raccontare nemmeno a noi stessi. Benché, probabilmente, molti noi in ospedale hanno hanno visto la prima luce.

Se lo guardi da lontano noti che è un crocevia, è una piazza, una città nella città, è il surrogato di vita e – è il caso di dirlo – di morte, è un cuore pulsante, l’organo vitale di una città, di una regione, di una società che, con quel luogo, ha un rapporto simbiotico. Un sangue fluido, noi; un organo, lui, il nosocomio, apparentemente omogeneo ma che se esaminato al microscopio è un insieme di singoli elementi distinti, essenziali per il funzionamento del corpo stesso.

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Un grande privilegio

Kabul, 4 marzo 2013. È mezzanotte da poco, qui. A casa no, è ancora ieri. Fuori non sento più gli elicotteri, neppure il traffico. E il riverbero del muezzin è scomparso, silenzio.

Sono a Kabul. Sì, quella Kabul dei giornali, nel cuore dell’Afganistan. Per un documentario. Non è un posto dove vieni in vacanza. Non so neppure se è tanto facile venirci così, per diletto, quaggiù.

Oggi ho visitato un centro di riabilitazione ortopedica del CICR, il Comitato Internazionale della Croce Rossa. Ero accompagnato da un italiano. Alla base, un fisioterapista, ma in pratica è uno che vive qui da 23 anni, che si è fatto le guerre, che non ha mai abbracciato un arma ma solo protesi, uomini, donne e bambini. Un uomo che sa che cosa significa il termine neutralità, per lui non è un concetto astratto. Sul suo camice bianco sta bello grande cucito un nome: Alberto. Un segno di riconoscimento “analogico”, come te li facevano negli anni ’80, quando ancora non si parlava di targhette e badge digitali con tanto di foto e microchip. Alberto, niente cognome, è superfluo per quelli come lui. Non sono qui per avere una pagina in wikipedia, loro. Anche il logo dell’organizzazione appuntato al taschino è quello di una volta: “Comite International Geneve” e al centro una croce rossa su fondo bianco. Lui, è il responsabile del più grande progetto del CICR nel mondo, l’Orthopaedic Programme in Afganistan. E i nostri primi 10 minuti li abbiamo passati più che altro a parlare di basket, della squadra di paraplegici locale, e del mio italiano da Svizzero, che non è buono come il suo. Poi, a raccontarmi il centro, a spasso fra mutilati, fisioterapisti, ortopedici e operai intenti a fabbricare protesi o sedie a rotelle (tutti ex pazienti) è stato Najmuddin, un afgano che dopo aver perso entrambe le gambe su di una mina si è reinventato la vita e ora modella protesi insegnando a camminare a chi, come lui, ha calpestato uno di quei giocattoli antiuomo. Ma non sono qui per raccontarvi tutto ciò che ho visto, devo lasciare il tempo alle storie di sedimentare, assimilare ancora molto, nei prossimi mesi. No, ora sono preso da un altro pensiero.

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Spillo

Sento bussare alla porta dell’Atelier su viale Cassarate, a Lugano. È una giornata uggiosa, una di quelle in cui la luce che filtra fra le nuvole è intensa e abbaglia. Quando apro lo riconosco subito dall’inconfondibile silhouette. È Spillo. Fin qui nulla di speciale, bazzica spesso da queste parti Spillo. Come descriverlo? Spillo. Chi è cresciuto in questa città concorderà con me che non lo si può descrivere come un tossico della città, perché lui è di più, o meglio, è anche altro.

Spillo mi saluta, e mi chiede se ho un biglietto omaggio per andare al cinema. Vuol vedere Tutti Giù. Rimango imbambolato. I miei pochi neuroni oggi un po’ spenti fanno eco della sua domanda nella mia calotta cranica, cercando di capire dove sta l’errore: mi sta chiedendo i soldi per un biglietto? Del bus? No, tutto giusto. Non è la solita scusa per i due franchetti giornalieri. Spillo mi chiede un biglietto omaggio per il cinema. Quella di lui, accomodato sul velluto blu del Cinestar, magari con un cartone di popcorn, a gustarsi le vie di Lugano del film – vie che conosce meglio di chiunque altro – è forse la più originale, divertente, malinconicamente splendida immagine che mi si potesse regalare. Forse nella Lugano di Tutti Giù manca solo lui. Avrei dovuta inserirla una scena con Spillo come comparsa. Gliela dovevo. E per questo è arrivato a bussare da me, per esserne parte. A modo suo, come sempre imprevedibile.

Non avevo con me nessun biglietto omaggio. Mi riprometto di portarmene sempre qualcuno in tasca, se lo dovessi incontrare di nuovo.

Rammaricato gli dico di non poterlo aiutare. Mi saluta, dandomi il colpo di grazia:
– Be’, chiedere è lecito, ciao!
Spero di aver risposto con la giusta cortesia. Ciao Spillo.

Aggiornamento 16.02.2017: Spillo ieri se n’è andato. Almeno una volta l’anno girava la voce: “Oh, Spillo è morto!”. E poi ricompariva. Mi chiedevo se non fosse un highlander. Questa volta è tutto vero. Ciao Spillo.

Inseguendo la luna

È il 25 agosto duemiladodici. La sveglia ha suonato alle 5.45, fuori la luna era già scomparsa, albeggiava lontano lontano. L’aereo che mi ha portato qui a Montreal, Canada, ha rincorso la notte volando verso ovest durante tutto il viaggio, ma non l’ha raggiunta. Prima a Newark, poi a Montreal, è sempre stato giorno. Ho messo piede a terra, scendendo i gradini del piccolo shuttle, 21 ore dopo aver lasciato casa. 21 ore senza notte quando ho saputo, tornando al mondo, che nel frattempo Neil Armstrong ci aveva lasciato. Una lunga giornata senza luna. Ora ho scoperto perché non si è lasciata raggiungere.