Coffee & Mathematics

Carissimi, eccomi dopo tanto tempo! Oggi non risponderò ad una domanda del Nico, ma vi racconterò una cosa che semplicemente non potevo trattenermi dallo scrivere, dato il posto dove sono seduto proprio adesso, e dato il titolo del nostro blog…

Per mantenere un po’ la suspence comincerò con il dire che il periodo relativamente lungo di silenzio è stato anche dovuto al mio trasferimento oltreoceano: per un po’ sarò a Berkeley, California. E il fatto è che qui, al bordo del campus universitario, c’è il “Caffè Strada” con la sua terrazza circondata dalla siepe e ombreggiata dagli alberi. E sulla terrazza tanti tavolini – ed è su uno di questi che è appoggiato il mio PC mentre scrivo.
Il bar matematico

Badate bene: questo non è un caffè qualunque – vi basti per ora sapere che sul tavolino dove c’è lo zucchero, il latte, i tovaglioli e i cucchiaini, c’è anche un temperamatite a manovella!
Il famoso temperino Il famoso temperino

Qualcuno ha detto che un matematico è un dispositivo per trasformare caffè in formule. Cio non è esatto (ho conosciuto un matematico iraniano -o, come lui tiene a precisare, persiano- che beveva solo tè), ma approssima comunque bene la realtà. Naturalmente non si parla di espresso o roba simile – e anche le “piscine” transalpine farebbero una magra figura: ci vuole del caffè che possa accompagnarti durante una lunga riflessione, o nella lettura di un articolo particolarmente intenso, e che però non ti faccia diventare caffeinomane. E il caffè americano è fatto apposta per questo. Aggiungete la tranquillità e la frescura di questo posto e capirete perchè diversi professori di matematica di Berkeley ricevono i loro studenti non nel loro studio, bensì al Caffè Strada! Ma andiamo al sodo. Voglio raccontarvi la storia di una scoperta matematica che ha avuto luogo nel 1986 proprio qui, in questo caffè.
Per capire bisogna fare un salto indietro, nel diciassettesimo secolo, e guardare sopra le spalle di un giurista francese, Pierre De Fermat, che aveva la passione della matematica – e anche un bel po’ di talento. Sta leggendo il libro di un antico greco di nome Diofanto (uno di cui magari converrà riparlare), e scrive dei commenti a margine.
A un certo punto Diofanto si chiede se, dati due quadrati con lati ‘interi’ (diciamo un quadrato di lato 3 e uno di lato 4), si possa trovare un quadrato di lato intero (diciamo 5) la cui area è la somma degli altri due. In altre parole, Diofanto si chiede se si possono trovare numeri interi (“senza la virgola”) a,b,c tali che

Equazione, elevato 2

Beh, la risposta è evidentemente positiva – per esempio, i numeri che abbiamo considerato prima, 3,4 e 5, vanno bene, come si può verificare dal disegno.

Quadrati

E ci sono tante di queste triplette di numeri: sono dette terne pitagoriche (magari in un altro post vediamo perchè).

Ora, Fermat fa una cosa tipica della matematica – ovvero, si chiede: ma funziona veramente solo così? E se cerco dei numeri interi a,b,c per fare

Equazione, elevato 3

Non riusciva a trovarne.
Magari funziona con 4:

Equazione, elevato 4

Neanche. Accidenti!
E Fermat scrive sul margine del libro di Diofanto: “per nessun esponente n maggiore di 2 è possibile trovare numeri interi a,b,c tali che a^n+b^n=c^n. La dimostrazione è troppo lunga per stare in questo margine”.

Adesso, bisogna capire che in matematica tutto deve essere dimostrato con rigore assoluto. Dimostrare significa spiegare nei minimi dettagli la correttezza del proprio ragionamento. Quindi la frase di Fermat non voleva dire ancora nulla – al massimo era una spinta per cercare di capire se è vera o no.

Insomma ci hanno provato in tanti a cercare i numeri a,b,c per esponenti più grandi di 2, ma nessuno ci riusciva – e d’altra parte nessuno riusciva nemmeno a dimostrare che tali numeri non ci fossero (salvo qualche passo parziale: si era riusciti a verificare l’affermazione di Fermat con esponente 3,4,5,6 o 7, ma niente più).
Un bel casino! – La questioncella dei tre numeri è diventata famosa come uno degli enigmi matematici più difficili, e chiamata “l’ultimo teorema di Fermat”.

Si procede nell’ignoranza per tre secoli e oltre.

Nel 1984, durante un congresso in Germania (qui), due matematici stavano al tavolo da ping-pong, aspettando di giocare un doppio contro la coppia vincente della partita in corso. Nell’attesa, uno dei due (tale Frey) spiega ad un altro come secondo lui si può risolvere l’enigma di Fermat – e in mancanza d’altro scrive con un pennarello sul piano della racchetta (!!). Questo Frey aveva proposto di prendere il problema di Fermat e di buttarlo dentro una superteoria sviluppata da due giapponesi negli anni ’50, e vedere cosa saltava fuori (*).
Ora, il fatto è che:
1) nessuno sapeva se fosse possibile (e se si, come) applicare la teoria dei giapponesi al problema di Fermat.
2) il lavoro dei giapponesi era ancora una congettura – quindi la sua validità doveva ancora essere dimostrata – e gia da sola questa cosa qui era una cosa di una difficoltà abominevole.

E qui c’è il passo decisivo: nel 1986, ad un tavolino del Caffè Strada, il professor Ken Ribet, discutendo con Barry Mazur (per dire: immaginatevi Ronaldinho che palleggia con Pelé) ha capito che in effetti il primo passo si poteva fare: se la teoria dei giapponesi funzionava, allora Fermat aveva avuto ragione. Restava comunque naturalmente da verificare la teoria dei giapponesi – cosa che fu poi fatta da Andrew Wiles in 7 anni (!!) di semiisolamento nella soffitta di casa sua, in una delle conquiste matematiche maggiori del Novecento.
Tra l’altro, questo è abbastanza frequente al giorno d’oggi: il lavoro di persone che neanche si conoscono improvvisamente si congiunge, e così porta a scoperte che nessuno, singolarmente, avrebbe potuto ottenere!
Ribet era cosciente della portata della sua scoperta, ma sprattutto -e questo lo appagava-, gli piaceva il fatto di aver capito una connessione che rendeva elegante un pezzo di matematica in più (su questo aspetto essenzialmente estetico della matematica dobbiamo tornare). Immagino che, dopo, soddisfatto, abbia finito l’ultima sorsata di caffè, buttato via il bicchiere di cartone con il coperchio di plastica, e sia andato a casa a cena.

Ecco come una frasetta di un avvocato del ‘600 ha portato ad una grandissima scoperta alle soglie del 2000, la quale ha celebrato ancora una volta il connubio “matematica e caffè”!

(*) Più precisamente, per chi fosse interessato: Frey aveva costruito per ogni n una curva ellittica sperando che, se il teorema di Fermat fosse stato falso per n, tale curva non avrebbe potuto essere modulare – e quindi avrebbe contraddetto la “congettura di Taniyama-Shimura” che dice appunto che ogni curva ellittica è modulare.
Ribet mostrò che effettivamente la curva di Frey non era modulare – e Wiles ruscì a confermare quel tanto della congettura di Taniyama-Shimura che bastava per applicarla alla curva di Frey.

5 commenti su “Coffee & Mathematics

  1. E’ effettivamente un progetto un po’ “fantasy”, vista anche la somiglianza con la lingua degli Ent tolkieniani…
    E acquisterebbe unteriore interesse se aiutasse ad approfondire anche le altre due questioni date, a quanto pare, per scontate: “… che uno sappia cosa sia, quanto valga e dove stia questo cento“.
    Appunto.
    Cos’è?
    Dove sta?
    …qualcuno ha una risposta?? Aspetto dei post al riguardo.

    E poi, caro cippo, non credere che nessuno abbia mai pensato a “rivoluzionare”, come dici tu, il sistema numerico posizionale a base dieci. In effetti ci sono molti altri modi per parlare dei numeri naturali (che, appunto, al di là dei segni grafici: cosa sono?). Ognuno di questi modi ha il suo senso in quanto è “tagliato su misura” per risolvere delle questioni particolari riguardo appunto ai numeri. Per esempio, un modo particolarmente scaltro sta alla base di una delle rivoluzioni (questa volta senza virgolette) più sconcertanti – e non ancora assimilate – del pensiero occidentale. Se vi sembra che stia esagerando, appuntamento al prossimo post, tra breve.

  2. Cippo,

    scrivi: “io consiglierei quindi di premettere a ogni numero i precedenti”. Due commenti. Primo, come ha sottolineato ema, nella ricerca (la cui semantica qui potrebbe essere definita come – ricerca e’ tutto cio’ che si puo pensare) bisogna essere prudenti nell’affermare di aver “scoperto” qualcosa. Un po’ per esperienza un po’ per buon senso, credo che la critica “non sono il primo a penserla” (la scoperta) vada in parallelo con l'”eureka, ci sono arrivato”. Secondo, pur non essendo un esperto di numeri, credo che il tuo sistema crolla con la tua frase che ripeto all’inizio del mio commento. I precedenti (numeri) di un numero mica sono infiniti? Inoltre, era mica Cantor a dimostrare che tra due numeri ci sono infiniti altri numeri (dimostrando che i numeri reali sono piu numerosi dei numeri naturali)? Ovvero, quali sono i precedenti di 1? I numeri reali tra 0 e 1? I numeri naturali tra -inf a 1? Consideriamo tutti e due i sistemi? Non mi e’ chiaro questo punto.

    Se ti limiti al sistema dei numeri naturali, mi sembra che il tuo sistema, pur essendo una “nuova inteligente e rivoluzionaria tecnica di conta”, sia un po’ limitato 🙂

    Concordo pero’ sul fatto che mettendo dei simboli tipo $ o % perdi la bellezza della tecnica.

    Cheers,
    markus

  3. Fantastico questo post e fantastico il luogo dal quale hai scritto!

    Mi ha impressionato molto anche perchè ho un amico, matematico ultra in gamba, appena laureato a Siena che forse verrà a Berkley per proseguire il suo cammino di uomo-matematico. Dunque appena ho letto da dove scrivevi, e anche come era caratteristico il bar, mi sono gasato per questo mio amico e per l’avventura che forse intraprenderà! Chissà, fose, anzi, probabilmente in futuro vi consocerete pure!

    Buona vita e buon cammino nella scienza… 😀

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